DEDICATO A ROMOLO

MONA   E’ TE CHE STO GUARDANDO fu il mio ben arrivato all’Autoreparto Julia(°),  a Gemona del Friuli, a darmelo fu  LUI. Sembrava guardasse dietro di me e mentre io volgevo leggermente il capo, mi apostrofò con quell’espressione che mi avrebbe accompagnato fino a quel giorno nel quale lo trasferirono a Basiliano  alla vigilia  della  nomina a Maggiore. Strano a dirsi in una  figura che emanava rudezza, aveva lo strabismo di venere che lo rendeva popolare in tutto il Friuli degli anni settanta e successivi.  I giovani lo temevano più come un padre burbero piuttosto che  come un comandante. Ma era famoso anche per i suoi fischi da pecoraro  Vernasso, paese d’origine nel quale aveva  ancora la sua mamma, una maestra di scuola in pensione, lui stesso era diplomato alla scuola magistrale. La banda di Padovani e provincia che avevamo era notoriamente conosciuta come una gruppuscolo di border line. Questi bravi ragazzi spesso al rientro in caserma prima di parcheggiare i mezzi inscenavano una specie di carosello nell’anello stradale che circondava le rimesse all’aperto. In uno di questi , mentre ero a colloquio con lui, nel suo ufficio, stavo per chiedergli il permesso di allontanarmi e andare a vedere cosa stava accadendo. Lui mi fermò, apri la finestra che dava nel piazzale  e con due dita in bocca fischiò. Con mia sorpresa vidi che quasi all’istante gli autocarri si arrestarono. Da uno ne scese  un conduttore con i gradi caporale , il quale, alzando il capo verso la finestra lo salutò.  Come risposta ne ebbe un urlo tonante  “ Mona, parcheggiate quei camion subito!” ed il   carosello ebbe fine. Era stato segnato nella sua carriera, quando capitano di complemento ovvero precario, per assicurarsi l’impiego e scongiurare il congedo forzato tentò e vinse il concorso per ufficiale in servizio permanente . Vittoria da un lato  beffa dall’altro, quella  di  ritornare  al grado di sottotenente, sebbene in servizio permanente, sia come stipendio che di grado. Avevamo qualche piemontese, molti friulani e tanti veneti delle provincie di Treviso e Padova. Tra questi ultimi c’era un giovane di S. Giovanni Lupatoto il quale era notoriamente conosciuto come comportamento al limite della delinquenza. Aveva accumulato una caterva di giorni di punizione tra le quali quella di rigore per una specie di rissa allo spaccio truppa con alcuni della compagnia genio Pionieri. Questo ragazzo, quel giorno, chiese ed ottenne  rapporto dal Capitano. L’autiere rivolto verso il mio superiore gli chiedeva licenza  e in cantilena veneta sottolineava  la sua domanda   asserendo che sua madre fosse a letto malata, la sua ragazza in ritardo con le mestruazioni, il padre disoccupato. Il tutto mentre il Capitano, in piedi dietro la scrivania, sembrava lo ascoltasse seriamente , appena terminò  vidi  il capitano girarsi di spalle e fare il gesto di mollarsi la cintura dei pantaloni poi voltando il capo di scatto disse “Mona che vuoi anche il c…”. Io sulla porta con un espressione d’incredulità mentre il militare batteva in ritirata dopo aver battuto i tacchi  evitando me che stentavo credere ai mie occhi. In quel periodo fungemmo anche da Reparto parcheggio per militari che avevano scontato il carcere e che dovevano ultimare il servizio militare obbligatorio dopo aver scontato la pena. Avemmo in consegna un certo bresciano, quasi trentenne, il quale oltre che in quella militare era stato oggetto di condanne anche per la giustizia civile. Questi spesso  sfuggiva al controllo e se ne scappava fuori caserma anche durante il giorno, in quelle ore nelle quali si rispettava il riposo pomeridiano. Il mio comandante aveva  capito dove l’avrebbe beccato e appena  avutone il sospetto lo riprendeva portandolo in caserma. Il rispetto per il Capo al congedo si tramutò in scuse e commozione da parte del pregiudicato confermando quanto l’ umanità e generosità di quegli  fossero le doti che gli conferivano il rispetto di tutti. Mi ricorderò che a causa di una incomprensione tra  a me e lui ci fu qualche disservizio. Bene, accertato che fossi  esente  da  responsabilità  mi chiese scusa  davanti al Reparto riunito.Mi insegnò a trattare bene il formaggio di malga, raccomandandomi di pulirne la forma da intero, cospargendolo con un goccio d’olio perchè quella che noi definivamo buccia, gettandola via fosse in effetti, una volta pulita, parte del prodotto da conservare possibilmente al fresco piuttosto che in frigo. La sua schiettezza lo precedeva  come fama e  la  gente lo amava  per questo, questi si trasferiva nell’ordine con il quale si presentavano le nostre camerate durante le visite dei superiori. Fu proprio durante una di queste da parte del Generale comandante la Brigata che questi cercò di metterlo in crisi chiedendogli forza e dati statistici sull’Autoreparto. Seppe rispondergli così a tono recitando nome e cognome del militare  mentre l’altro, aiutato dal maresciallo furiere,  controllava sul ruolino , lasciando senza parole il Comandate della Brigata. Dal punto di vista tecnico era un appassionato di motori e provetto motociclista, spesso mi diceva adesso per qualche ora comandi tu  e con i sottotenenti di complemento  usciva per esami di scuola guida e prova dei mezzi. Al rientro da Bolzano, dal  7 in poi fino a quando fu trovato l’ultimo dei caduti , sotto le macerie, presente  con gli altri soccorritori con i quali  si adoperava  a nude mani. Con lui salvai qualche documento amministrativo che qui e lì affiorava tra una laterizio e l’altro di quella dannata palazzina(*).  L’ultima volta che lo vidi da vivo fu al raduno degli Autieri di Salsomaggiore in compagnia del suo amico e collega di Roma. Tre i suoi figli , due maschi ed una femmina, Alessandra , la maggiore, il suo pupillo , Luca il secondo e Paolo che diceva fosse arrivato per grazia divina. Soffrì tantissimo per la dipartita  di sua moglie mancata dopo atroci sofferenze dovute ad un cancro, nessuno mi avvertì della sua morte che appresi, per puro caso , due o tre anni dopo a Padova. Resterai  sempre nel mio cuore tu che mi invitasti a chiamarti per nome  piuttosto che Comandante con deferenza. Ma sei stato il mio unico e solo Comandante  colui il quale  forse , più di tutti mi ha  compreso nel bene  e meno bene, il tuo mona, Riccardo
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(°)Nella caserma Goi Pantanali occupavamo un’ala con ampi parcheggi allo scoperto ed una palazzina composta di uffici, camerate e magazzini  in condominio,  con la Cp genio Pionieri. L’Autoreparto, con più di cento auto e motomezzi forniva supporto e concorso a tutti i trasporti di personale, materiali e quadrupedi della  Brigata “Julia”, la quale , all’epoca, complice la guerra fredda, conservava  un organico divisione. 

(*)E sì perchè nessuno può distogliermi dal pensare che il crollo di una costruzione di così recente fattura, fosse stato causato anche dall’allocazione dei magazzini all’ultimo piano piuttosto che a piano terra come razionalmente avrebbe dovuto essere.

Commenti

Unknown ha detto…
Buonasera sig. Colonnello
Sono l'autiere Diego Mostacci con incarico 48A lo scultore abruzzese autore della scultura posizionata nella caserma Goi Pantanali di Gemona.Ricordo il Cap. Costaperaria, sento ancora i suoi fischi e le sue urla e a noi Abruzzesi oltre a "mona" aggiungeva anche "terrone" e "finocchio", allora li vivevo come rimproveri ma adesso li riconosco più come atteggiamenti di un padre che di un ufficiale. Ricordo un aneddoto che la riguarda: eravamo a Rovereto, diretti a Riva del Garda e lei, per una precedenza che ci riguardava, discusse animatamente con un vigile....La ringrazio per questi ricordi, da me personalmente vissuti e la saluto cordialmente
ciao Diego,
grazie innanzitutto per il tuo commento che mi fa ben sperare per il futuro, certamente mio caro amico, il Capitano Costaperaria è stato un mito. La sua schiettezza è rimasta quella di un bambino che dice ciò che pensa, un pregio che oggigiorno hanno pochi esseri umani. Viva la vita Diego, grazie ancora.
Unknown ha detto…
Carissimo Riccardo,
era la primavera del '75 quando fui comandato quale sottotenente di prima nomina allo storico 207° di Gemona assieme a Lippolis Francesco pugliese. Tu collega, eri il V. Comandante già in s.p.e. e il cap. Costaperaria, Comandante, non tardò a mettere in mostra la sua carismatica autorevolezza che, pur militare, di ben poco ne faceva uso, privilegiando il rapporto umano schietto, diretto, a volte rude da friulano doc.
L'appuntamento era nel suo ufficio di buon mattino, nella palazzina Pantanali sopra i pionieri, da dove tutto egli dominava e spesso, come dici,da lì impartiva i comandi dall'ampia finestra, con efficacia indiscutibile, quasi emulante il dominus del ventennio.
A tale rapporto, per primo si rivolse all'amico mio pari grado chiedendone le generalità. N.b. lui aveva ben memorizzato il nostro stato di servizio e molto altro, ma voleva sincerarsene anche per cominciare il rapporto collaborativo e definire gli incarichi. Per cui al termine dell'impacciata dichiarazione di Francesco, frutto di cotanto cospetto, il saluto/commento del comandante fu: " ... sei un terrone". E' il mio turno. Io veneto ringalluzzito nell'aver assistito all'apostrofatura sul collega meridionale, tronfio dell'appartenenza geografica, con tono rassicurante dichiaro pari mie generalità. Al che il comandante, avendo immediatamente capito il mio atteggiamento spavaldo, non aspettava altro: "cosa ti credi, anche tu sei un terrone, tutti quelli che stanno alla destra del Tagliamento sono terroni". E questo fu l'inizio...
Il Comandante Romolo Costaperaria mi ha voluto bene e io ne ho manifestato sempre profonda stima e orgogliosa amicizia.
Un abbraccio alpino a te e tutti coloro che leggendo condividono e mi conoscono.
Unknown ha detto…
Carissimo Riccardo,
era la primavera del '75 quando fui comandato quale sottotenente di prima nomina allo storico 207° di Gemona assieme a Lippolis Francesco pugliese. Tu collega, eri il V. Comandante già in s.p.e. e il cap. Costaperaria, Comandante, non tardò a mettere in mostra la sua carismatica autorevolezza che, pur militare, di ben poco ne faceva uso, privilegiando il rapporto umano schietto, diretto, a volte rude da friulano doc.
L'appuntamento era nel suo ufficio di buon mattino, nella palazzina Pantanali sopra i pionieri, da dove tutto egli dominava e spesso, come dici,da lì impartiva i comandi dall'ampia finestra, con efficacia indiscutibile, quasi emulante il dominus del ventennio.
A tale rapporto, per primo si rivolse all'amico mio pari grado chiedendone le generalità. N.b. lui aveva ben memorizzato il nostro stato di servizio e molto altro, ma voleva sincerarsene anche per cominciare il rapporto collaborativo e definire gli incarichi. Per cui al termine dell'impacciata dichiarazione di Francesco, frutto di cotanto cospetto, il saluto/commento del comandante fu: " ... sei un terrone". E' il mio turno. Io veneto ringalluzzito nell'aver assistito all'apostrofatura sul collega meridionale, tronfio dell'appartenenza geografica, con tono rassicurante dichiaro pari mie generalità. Al che il comandante, avendo immediatamente capito il mio atteggiamento spavaldo, non aspettava altro: "cosa ti credi, anche tu sei un terrone, tutti quelli che stanno alla destra del Tagliamento sono terroni". E questo fu l'inizio...
Il Comandante Romolo Costaperaria mi ha voluto bene e io ne ho manifestato sempre profonda stima e orgogliosa amicizia.
Un abbraccio alpino a te e tutti coloro che leggendo condividono e mi conoscono.
Unknown ha detto…
Ciao Gianantonio, mi ricordo di voi due, in particolare di Lippolis che mi pare fosse di Trapani. Quando arrivò all'Autoreparto, mi trovavo nell'ufficio del Capitano che dalla finestra lo vide attraversare il cortile col suo bel berretto da fanteria: Oltraggio!!!... "E chi c..zo è quel finocchio?" mi disse, "portamelo qua subito!". Dopo le presentazioni e la tremenda romanzina per via del cappello, lo costrinse a seguirci allo spaccio truppa. Vino rosso per tutti. "Ma io sono astemio, Signor Capitano" Non lo avesse mai detto... Il povero Lippolis, che era digiuno e si era fatto forse 24 ore di treno, era talmente intimorito che accettò di bersi 4 o 5 bicchieri di rosso. La sbronza fu immediata! "Adesso vai al Circolo Ufficiali e quando ti sarà passata ti vai a prendere un cappello decente!!!" Dopo che se ne fu andato barcollando verso il Circolo il Capitano mi guardò e strizzandomi l'occhio mi disse "E anche questo lo abbiamo battezzato".
Dante Pascelupo, tramite messsenger, ha scritto:

"Bravissimo Riccardo, hai fatto un' ottima descrizione di una grande persona, che io, arrivato all' autoreparto poco più che ragazzino, ho sempre considerato quasi come un secondo padre. E quante volte nel corso della vita mi sono morsicato le dita per non averlo ascoltato quando mi diceva: "fermati qui, se avrai bisogno ci sono io, non credere che fuori di qui la vita sia tutta rosa e fiori". Cavolo se aveva ragione! Ma quando si è giovani... Ricordo bene anche il bresciano che si faceva chiamare "califfo", bell' elemento, che però riuscii a ridicolizzare davanti a tutta la compagnia e da allora mi portò rispetto. Ma quanto ci sarebbe da ricordare sul grande Romolo..."

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