STRANE SIMILITUDINI

Sono da  escludete i fraintendimenti ma preti, suore ed i militari  possono accomunarsi, continuano ad indossare la tonaca, velo o uniforme malgrado li abbiano riposti in armadi  sotto naftalina. Personalmente mi riconosco ivi compreso quando cerco di radermi i pochi capelli sopravvissuti ai vari copricapi. Dagli speciali o comuni all’elmetto prima in ferro e poi in  kevlar e quello alpino portato per diciannove anni alla Julia , regalandone tre. Quanto mi è costato, difficilmente potrà  essere quantificato,  il sacrificio per la disciplina alla quale ho dovuto abituarmi malgrado il disincanto e l’istinto alla ribellione del ragazzo che è in me. Dal quale forse  mi proviene la tolleranza  per coloro i quali anche per una tazza di caffè al bar,  si intrattengono crogiolandosi con il giornale o in chiacchiere, anziché trangugiarlo, in piedi  riprendendo rapidamente  le attività come spesso si fa tra militari professionisti. Ancora oggi in famiglia si meravigliano di come sorbisca i cibi appena spadellati prima che si raffreddino nei piatti. Che ne sanno di cosa si prova a montare di picchetto 24 ore in caserma,  di pattuglia, quando devi consumare frugalmente le tue razioni, in intervalli tra due o tre fasi  di operazioni. Con l’adrenalina che sale per il  pericolo di imboscate o allo scoccare dell’ora Zulu di imprevedibili esercitazioni dai nomi altisonanti ed esclusivamente in americano slang.  Oppure in missione come quella da foriere di alloggiamento in Irak, cinquanta all’ombra ed una percentuale d’umidità, intorno all’80 percento, in piena Estate. Dove anche quelle funzioni umane  in posti  definiti  latrine accomunate  solo per la puzza ma da  far rimpiangere il peggiore dei vespasiani, soprattutto alla sera e  possibilmente senza far rumori. In condizioni di criticità per i rischi e l’imminenza di un pericolo o per l’intrusione di qualche essere strisciante,  senza poter fare il bidet.  Mi ricordo che  riuscii  a fare fortunosamente  una doccia dopo quasi un mese nel quale ho dormito  due o tre ore per notte lavandomi  una al massimo due volte a pezzi . Un pomeriggio  approfittai di un ritardo nell’arrivo  al porto di  Kuwait city di una nave portaconteiner dall’Italia, dello svincolo dei quali dovevo occuparmi, fiondandomi nel primo albergo per farmi una doccia. Alla concierge il portiere, ricordo mi abbia dato la  tessera d’accesso alla stanza, girando il capo senza chiedermi i documenti. Inutile dire che sostituii la biancheria con della nuova comperata al negozio dell’hotel, pagandolo di mio incluso il  costo della stanza solo per due ore. Mi chiamai fortunato quando una settimana  successiva a quell’evento mi trasferii con una colonna di militari Rumeni a White Horse dove la Brigata Garibaldi, la  prima attivata per l’esigenza, appena sbarcata, mi dette modo di ricominciare a digerire regolarmente. Ovviamente in cornice di sicurezza e rispettando le turnazioni che ventiquattrore su ventiquattro assicuravano le operazioni  di quella che qualche mese dopo la strage di Nassrya,  poté definirsi solo eufemisticamente una missione  di pace.  Ero il tappabuchi e quando se ne aprì uno a Bassora mi ci spedirono pensando forse che avrebbero potuto presto vantarsi di un caduto del grado di tenente colonnello. E così  Eleonora, sei anni compiuti, sarebbe nata, forse, da un’altra famiglia. Ma nonostante  il caldo e l’umidità  che si tagliava a fette sono sopravvissuto fin ora, testimone di una serie di morti eccellenti ed episodi. Mi sovviene quello  di un povero guardiano filippino facente parte di una milizia composta da  volontari  ingaggiati dall’esercito Britannico. Questi, posto con i suoi compagni, a difesa della postazione del Governatorato Provvisorio di Bassora dalla quale dipendeva la Provincia affidata all’Italia, rimase mortalmente ferito per  lo sparo di un cecchino. Quel giorno era in atto  una gigantesca dimostrazione di locali che reclamavano acqua e pane ed io dotato, temporaneamente, solo di arma corta, mi fu ordinato di stare all’interno dei locali. Presso la mia postazione fu lasciato agonizzante sul pavimento il poveretto con una ferita alla giugulare. In lontananza  si sentiva la sirena ma l’ambulanza militare che doveva condurlo allo Screening Point e da qui all’Ospedale Inglese,  rimase bloccata oltre la ressa che premeva minacciosamente contro le barricate erette  a protezione del fabbricato.  Rimasi a tenergli  compagnia con il sangue che gli scorreva copiosamente benché qualcuno là fuori gli avesse  messo  un fazzoletto attorno  alla gola per fermare  l’emorragia. Ancora oggi a tratti mi sovviene quella scena ed il senso d’impotenza che ho somatizzato fortunosamente dopo una serie di sedute psicoterapeutiche. Ebbi anche qualche soddisfazione  come quando mi premurai di far recapitare, scortandola,  una somma  di un milione di dollari, a  pacchi  da 100  banconote da cinque.  Il giorno del trasporto avvenne con l’elicottero del Contingente Italiano da Bassora fino alla Banca dell’agricoltura della provincia di Dquar. Peccato che l’immagine della direttrice che ci i accolse con un sorriso largo quanto le sue braccia aperte, assieme ai carabinieri di scorta, la porto solo nel cuore. Finalmente avrebbe potuto finanziare il foraggio per le bestie, poiché i campi traboccavano di petrolio che sgorgava dagli oleodotti che la guardia di Saddam Hussein aveva sabotato durante la ritirata, verso Baghdad, inseguiti dagli angloamericani. Dopo settimane di razioni da combattimento britanniche fu quella un’altra occasione nella quale potrei riassaggiare un piatto di pasta che parlava italiano in una mensa con cucina divenuta efficientemente e completamente operativa. Questo alimento per me  è divenuto  sacro  e quando adesso  vedo che qualcuno ne lascia nel piatto,  dentro di me penso che la fame è una brutta cosa, lo spreco ancora peggio. Erano quasi duecento i km che separavano la base di operazioni Italiana dal governatorato del Sud Irak dove agivo come ufficiale di collegamento. Da qui con il reconstruction team USA( un gruppo di ingegneri, architetti e tecnici) facevo spesso la spola fino al CIMIC  del nostro Contingente per i progetti  di ricostruzione viaggiando in auto su una specie di autostrada, l’unica costruita da Nord a Sud, tra dune di sabbia desertiche. Gli angeli custodi esistono, ne ebbi la controprova  quella volta che, in colonna con i Rumeni, come accennavo, a causa di  guasti meccanici  ai loro mezzi, effettuammo delle soste forzate fino a notte fonda, in attesa del loro recupero. Due ore e tre quarti, il tempo che s’impiegava  per trasferirsi dall’area di sbarco a quella di operazioni divennero quasi venti in quell’occasione. Lì si che ci sentimmo un pò preti più che militari, pregammo silenziosamente  ed  il Signore  ci protesse con i suoi arcangeli attraverso quel cielo di stelle, mai viste fin allora ma  questa è un’altra storia.

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