in memoria delle sei giovani vite degli Eroi, 17/09/2009

Rabbia e Pietà

Sono le sensazioni che si provano in questo momento. Cerco di immedesimarmi nei familiari dei caduti e di quelli dei feriti, con difficoltà. Il senso d’impotenza di questo ennesimo attentato può essere paragonato a quello dinanzi ai terremoti, alla trasformazione violenta di un’area, di una provincia o regione. La stessa attonicità dei sopravissuti si legge negli occhi di coloro che devono raccogliere i resti umani e soccorrere i feriti. I quali si rendono conto di avere di fronte un nemico senza un’uniforme, distintivi, sprezzante di ogni regola di diritto umanitario perchè accomuna nella sua violenza anche gli innocenti. Siamo in presenza di un terzo combattente, invisibile, per questo più temibile di ogni altro. In Afghanistan c’è una delle Brigate tra l’elite del nostro Esercito, la Folgore già riserva d’Armata all’epoca dei partiti contrapposti. Questa non è guerra ma guerriglia, un ambiente nel quale si sono persi altre Forze Armate di grandi Nazioni. Insorti, così sono chiamati coloro che ordiscono e complottano. I quali, con qualche migliaio di dollari comprano chi per essi ed in nome di chissà quale dio, vince l’istinto di sopravvivenza per uccidere e morire nello stesso tempo. Confermo non c’è al mondo alcuna religione che predica e sancisce questo, i concertatori di morte si ispirano verosimilmente ad una loro credo che esula dalla concezione umana. L’impulso comandato dal dolore per la perdita di un figlio, un amico, un collega, un marito e, Dio non voglia, per invalidi tra i feriti, ci detta la frase “che ci stiamo a fare”. Eppure una ragione c’è, forse manca una motivazione ulteriore, quella del consenso parziale degli Afghani. Quanti di Loro sono favorevoli alle truppe della Missione affinchè permangano, fino all’”end state”, sul loro territorio, è un dato questo tutto da scoprire. Le recenti elezioni sono contestate nei risultati. Questi, ci resta un dubbio, potevano assumere un altro significato se, in fase di propaganda elettorale, avessimo chiesto ai due candidati quale fosse il loro interesse per la Forza ISAF. Ovvero se con i contributi ed i finanziamenti internazionali delle Nazioni Alleate avessero gradito anche le corrispondenti Forze Armate. Meglio se ci fossimo rivolti direttamente agli elettori domandando loro il permesso, rendendoli responsabili e consapevoli di disporre della propria sovranità. Secondo il noto principio dell’autodeterminazione dei popoli avremmo oggi un motivo in più per piangere i nostri caduti oppure un altro per uscirne a testa alta delegando al neoeletto Presidente tutte le responsabilità che Gli competono. Pragmaticamente quello che è avvenuto poteva accadere a tutti gli altri contingenti delle Nazioni della Forza Internazionale. L’anno scorso toccò alla Francia, oggi siamo Noi davanti al feretro dei Nostri. Le decisioni così come i cordogli in questi casi devono essere assunti in sede plenaria, nell’ambito NATO, cosa non facile sull’onda delle emozioni. Su di esse si deve meditare capire le dinamiche, aggiungere un'altra tessera al grande mosaico che è l’arte dell’intelligence per approfondire, gestire e indirizzare. Meglio quando gli occhi sono sazi di lacrime, i corpi hanno degna sepoltura e la memoria dei caduti trasferita dallo Stato ai loro familiari. Essi scolpiranno le icone nei loro cuori aldilà del dovere compiuto dai loro cari. Le Forze Armate e l’Esercito non fa eccezione, sono il braccio della politica estera dell’Italia e la missione in Afghanistan ne è una testimonianza. Esse sono consce di cosa si vuole da loro, inclusa la vita. Proprio per l’estremo sacrificio richiesto si deve meditare sull’essere umano che stà dentro l’uniforme, egli rappresenta tutti Noi nolenti e volenti, da rispettare, sia in vita che nel mistero della morte.

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pubblicato tra le lettere al giornale sul "Gazzettino" del 21/09/09

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