UN ALTRO NATALE


VTOL è l'acronimo inglese di Vertical Take-Off and Landing, l’aereo rassomigliava ad un grosso Harrier, all’interno c’erano non più di quindici posti. Due  indietro del mio, al decollo con cuffie antirumore  in dotazione per ogni sedile, c’era il direttore dell’hotel nel quale avrei dovuto alloggiare nella valle dello Swat. Con il mio tour agent di Rawalpindi e contemporaneamente con la Missione dove operavo come Osservatore militare dell’ONU sul Kashmir, avevo programmato tutto. Sette giorni di licenza in parte riscattata da effettivi turni di lavoro, altra come anticipi di futuri riposi. Agognavo il momento come una sposa in procinto di convolare a nozze con l’amato bene. Questi, altri non era, che l’unico figlio, quasi ventenne, che avevo invitato a trascorrere insieme il Natale in Pakistan.  Mi ero procurato persino un Pandoro ed una bottiglia di brut  da bere assieme ad Andrea, in disparte, per non fargli sentire eccessivamente la differenza tra l’Italia e quel posto dove l’alcool era proibito per motivi religiosi Unicamente fuori programma fu la sua defezione della quale aveva delegato sua madre a parlarmene, addotta per ragioni di studio. Rinunciandovi,  non avevo che due scelte, un albergo internazionale oppure chiudermi in casa a guardare uno stupido programma della CNN alla televisione E così  facendo buon viso e cattivo gioco mi rassegnai ad andare via da solo. Nel primissimo pomeriggio, dopo una sosta in un ristorante, di Sadu Sharif, dove gustammo un piatto locale  io ed il direttore che guidava una jeep telata giapponese  parcata nei pressi  dell’aerocampo di Mingora, proseguimmo verso l’albergo. In cuor mio cominiciai a pensare che forse era stato meglio che mio figlio non fosse venuto. Ma nei giorni seguenti mi ricredetti e quel pensiero fu spazzato via da cosa si fosse perso. Per le visite al museo sul Buddismo di Ghandar, quello nel quale  l’italiano Tucci, nel 1956, aveva curato la classificazione ed archiviazione  di tutti i reperti  utilizzando, per i viaggi, una campagnola Fiat lasciata lì a testimonianza di genio ed orgoglio patriottico(*). Per i paesaggi che definirli naturali significa poco senza averne conosciuto gli scenari ed i segreti con un guida del luogo unitamente alla conoscenza delle abitudini e costumi locali. Finalmente giungemmo all’albergo completamente in ombra e con un freddo che tagliava il viso in due.  In mezzo ad una vallata  con il rumore di uno scroscio d’acqua di sorgente, le camere erano dei piccoli bungalow, forniti di stufa a gas, senonchè,nel mio,  era spenta. Arrivò l’ora della cena e, da solitario fui sistemato ad un tavolo vicino a quello di una famigliola, lui, lei e due bambine di pochi anni. Raccattai  un sorriso dei coniugi ai quali risposi  salutando lui e mettendo la mano sul petto per lei rivolgendo, nel contempo, un sorriso di ammirazione per le  bambine. Pensai che solo a quell’età si può contare sui  figli che seguono i genitori.  Quella notte sentii freddo nonostante le coperte che mi feci dare dalla reception, svegliandomi presto al mattino della  vigilia di Natale del 1993. Nel frattempo avevo simpatizzato con la famigliola e le loro bambine, la coppia parlava un ottimo inglese e veniva da Lahore. Ne dedussi che erano gente istruita mentre  giocavo a biliardino su di un vecchio calciobalilla appena fuori della hall dell’albergo contro Anjum, così si chiama lui e la più grande delle sue bambine. Proprio in quel momento vidi dirigersi verso la reception  una dozzina di persone, sei coppie, tra gli uomini riconobbi il mio tour agent.  L’uomo si avvicinò e porgendomi  la mano destra mi chiese come mi fossi trovato e di mio figlio. Quando gli raccontai in breve mi sembrò realmente  dispiaciuto.  Ma la serata si profilava direi non proprio sui generis, infatti mi accorsi che alcuni camerieri stavano accumulando rami secchi al centro dello spiazzo del giardino di fronte la hall, altri portavano della legna. Poco dopo furono portati fuori anche i tavoli del salone ristorante, benchè il sole, già verso mezzogiorno, non fosse che un pallido ricordo. Dopo il tramonto,  arrivarono vestiti a festa tutti gli ospiti ed io fui posto dirimpetto alla famigliola. Dalla mia camera mi ero portato il dolce mentre mi creava imbarazzo quella bottiglia di vino che sapevo di non poter offrire nè aprire in pubblico. Il banchetto ebbe inizio, da un lato con un fuoco vivo e dall’altro delle braci per arrostirvi polli. Sui tavoli  solo acqua e bibite  le quali, grazie al clima,  di tutto avevano bisogno tranne che di frigorifero. Quando la cena ebbe termine, tutti si alzarono guardando nella mia direzione. Erano lì vicino a me ed il tour agent ed un altro il quale seppi , dopo, trattarsi del cognato, mi tendevano la mano  invitandomi ad una specie di giro tondo tra uomini ai quali si era aggiunto il direttore dell’albergo e Anjum di Lahore. Detto fatto, mi guidarono verso il fuoco , fino a circondarlo dove   cominciarono  a cantare in coro Merry Chistmas to You facendo dei grossi cenni alle mogli e figli perchè andassero a dormire.  Girammo intorno alle fiamme  per non sò quanto tempo, quello sufficiente affinchè fosse rotto il  ghiaccio mentre, dal cielo vedemmo venire giù qualcosa che somigliava a fiocchi di  neve. Presi il pandoro e chiesi un piatto per poterne condividere un pezzetto con ciascuno di loro.  Incuranti di ciò, mi fecero cenno di sedermi lì vicino al fuoco notando che uno di essi, molto serio e distinto, aveva un  involto con uno straccio, forse asciugamano. Lo sorreggeva con due mani, una verso il fondo e l’altra su quello che verosimilmente  doveva essere il collo di una bottiglia. Intanto  avevo tagliato  in più parti uguali che potevo il dolce dandone a ciascuno un pezzettino e spiegandone, in inglese, la tradizione Natalizia Italiana. Mi sembrarono soddisfatti e dopo avermi fatto accovacciare di fronte a loro quello con lo strano involto,  sottovoce, mi chiese in inglese se desiderassi assaggiare Allah Bloody. Acconsentii  e mi  invitò a munirmi di un bicchiere dove,  sorpresa delle sorprese, srotolando l’involucro uscì  una bottiglia di sambuca.  Due o tre dita finirono nel mio bicchiere mentre lui  ne trangugiò un sorso a canna. Ma doppiamente meravigliato fui quando trasse dalla tasca dei pantaloni  un sacchetto di plastica trasparente contenente qualcosa di marrrone scuro, era caffè. Ne trasse due chicchi e senza che io avessi il tempo di dire qualcosa li buttò nel mio bicchiere con una espressione sorniona. Pensai che avrei potuto bere con loro quella bottiglia di vino, ma  poi mi dissi che  sarebbe stato meglio riportarsela a casa. Comunque, quella notte dormii come un ghiro e non pensai più alla delusione che avevo subito, ero pronto per un’altra avventura. 
____

Commenti

Post popolari in questo blog

Come diventeremmo se l’euro non bastasse

DEDICATO A ROMOLO